A cura di Letizia Cristiano – Presidente Diocesano ; Elia Lonoce – Vicepresidente Settore Giovani ; Elio Simone La Gioia – Segretario MSAC
“Il profumo che viene dalla santità, che si alza da questa Chiesa ambrosiana”
Armida avrebbe apprezzato i tanti occhi lucidi e appassionati che hanno riempito ieri mattina il duomo di Milano. Duemila persone riunite insieme in preghiera, per la Beatificazione di due Ambrosiani: don Mario Ciceri e la nostra “sorella maggiore” Armida Barelli.
Cosa possiamo dire di lei? Sicuramente possiamo tracciare il volto di una donna tenace e coraggiosa, aveva compreso bene quanto l’impegno laicale formato fosse essenziale nella Chiesa. Rida, come amava farsi chiamare, si è spesa per promuovere il protagonismo e l’emancipazione delle donne nella sfera ecclesiale e in quella sociale.
Parlando di Armida Barelli, G. B. Montini, sin dagli inizi del suo ministero come Pastore dell’Arcidiocesi di Milano, disse che a lei doveva andare «il plauso non soltanto di Milano, ma dell’Italia, per aver lasciato un’eredità che veramente arricchisce le file della vita cattolica e segnato la via per l’educazione moderna della gioventù femminile» (Discorso del 30 gennaio 1955, in «Discorsi e Scritti Milanesi», I, p. 117).
Un altro grande pilastro della nostra sorella maggiore è stata sicuramente la cultura, promotrice e ferma sostenitrice dello studio e della conoscenza. Potremmo dire che Armida intendeva l’impegno nello studio come una forma alta di carità verso il prossimo. Proprio per questo si è spesa per la fondazione e la promozione, con Padre Agostino Gemelli, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Al riguardo, il p. Agostino Gemelli nel suo Testamento spirituale lasciò scritto: «Tutti i miei collaboratori si ricordino che agli occhi degli uomini io appaio come uno che ha fatto delle opere: queste non sarebbero né nate, né fiorite senza lo zelo, la pietà, l’intelligenza e soprattutto la vita soprannaturalmente ispirata della signorina Barelli» (Positio, «Informatio», p. 97).
In particolare, ella volle la Facoltà di Medicina al punto da preferirla come dono del Signore alla guarigione dalla malattia che poi la condusse alla morte (cf. Positio, «Summarium», p. 14). Inoltre, come è sottolineato dal recente Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana, in occasione della 98a Giornata dell’Università del Sacro Cuore: «…agendo anche sul piano sociale per la valorizzazione femminile, Armida fu promotrice di un cattolicesimo inclusivo, accogliente e universale.
Come AC siamo debitori ad Armida, debitori di una grazia che ha avuto slancio attraverso la sua vita e che continua ad essere linfa per l’associazione. Proprio come una sorella maggiore è stata capace di essere di esempio, un modello di santità concreto e operoso.
Nella stagione del ritorno alla democrazia nel nostro Paese dopo la devastazione della guerra, spronava le donne, per la prima volta chiamate al voto, a “capire quali sono i principi sociali della Chiesa per esercitare il nostro dovere di cittadine” perché “siamo una forza, in Italia, noi donne”».
“In queste storie di santità: umili e nascoste come quella del beato Mario Ciceri, oppure pubbliche e note come quella della beata Armida Barelli – afferma il cardinale Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, che ha presieduto la celebrazione – si manifesta sempre la forza dello Spirito, che il Risorto possiede senza misura”.
Nel suo saluto conclusivo, l’Arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini, si è rivolto in particolare ai giovani. Riferendosi alla figura di Armida Barelli ha invitato i presenti a riflettere su “che cosa potrebbe fare una ragazza di buona famiglia, che ha studiato all’estero, che ha una bella casa di villeggiatura sulle colline del Varesotto che vive in un contesto in cui è bene che le ragazze stiano chiuse in casa, in un momento in cui i cattolici è bene che stiano chiusi nelle sacrestie, in un contesto in cui essere cristiani significa essere ottusi e irrilevanti per le sfide contemporanee? Ecco, per esempio, potrebbe diventare santa”.
Mons. Delpini ha voluto sottolineare che il momento vissuto ieri non è stato un momento conclusivo, ma una strada che si apre. Una strada che ha come meta la santità, con l’invito a diventare santi, “in tempo di guerra e in tempo di pace”.